Parco del Cavallo - Sibari

La visita del Parco Archeologico della Sibaritide inizia dalle monumentali strutture di Parco del Cavallo che ne costituisce l'area scavata più estesa. A quest'area si accede dalla strada statale 106 ionica che costeggia ed immette direttamente nel Parco.

Qui sono state messe in luce due delle grandi strade ( plateiai ) menzionate da Diodoro Siculo a proposito dell' impianto ippodameo di Thurii: la Olympias e la Thurina (o Heroa ).
Queste strade vengono riusate in età romana, quando gli edifici e le strutture della città di Copia sono allineati su una parte del regolare tracciato urbano del grande architetto milesio.

Visitando Parco del Cavallo, ci si trova di fronte ad un completo apparato monumentale e scenografico, espressione dell'architettura, della cultura e della civiltà romana.
Anche nella piccola città di Copia, troviamo quella omologazione di funzioni e servizi secondo una precisa concezione degli spazi urbani riscontrabile in tutte le città dell'impero costruite o conquistate da Roma.

Delle strutture monumentali della città romana sono visibili resti del muro di cinta e di una delle porte di accesso (Porta Nord), il Teatro, una grande domus , l'edificio termale. Sono riconoscibili anche alcuni quartieri di edifici privati e le botteghe (tabernae ). In un piccolo saggio all'interno di un vano della grande domus romana, sono visibili i muri di un'abitazione di Thurii.

L'ingresso alla città di Copia: la Porta Nord

Il percorso di visita del Parco archeologico inizia dalla Porta Nord, accesso principale alla città di Copia la cui struttura urbanistica è sovrapposta all' impianto ippodameo di Thurii.
La porta immette su una delle plateiai principali portate in luce negli scavi del 1969.
Lo scavo dell'area adiacente la porta, condotto dal 1998 ad oggi, ha evidenziato un'area funeraria ai lati esterni della strada, con alcune strutture murarie riferibili a complessi tombali di privati cittadini .
L'accesso Nord alla città di Copia era inserito nella fortificazione costituita dal lungo muro che cingeva la città.
Il muro era realizzato con due cortine accostate: il paramento esterno di blocchi quadrangolari di recupero di vecchie strutture turine (pochi quelli visibili scampati alla spoliazione di epoca tardo-antica); quello interno realizzato in opera cementizia.
Sono ancora visibili in qualche punto gli alloggiamenti dei diatoni, i blocchi di collegamento e rinforzo disposti perpendicolarmente tra l'opera cementizia e il paramento in blocchi.

L'ingresso Nord doveva presentarsi imponente nella sua massiccia struttura, probabilmente con un fornice ad arco a tutto sesto, come nelle porte dei centri coevi.
La strada lastricata che attraversa la porta ( 3,6 metri di larghezza) permetteva il transito di un solo carro per volta, e quindi un miglior controllo dell'ingresso e l'uscita dalla città di persone e merci; sul basolato stradale sono perfettamente visibili i solchi lasciati dalle ruote dei carri nel periodo di vita della città di Copia.
Ai due lati dell'accesso principale, si aprivano le porte pedonali larghe poco più di un metro; sono ancora visibili due canali di scolo per il deflusso delle acque, coperti da blocchi disposti con volta a botte, situati tra la porta centrale e i due ingressi laterali.

Questi canali che attraversavano lo spessore della porta erano bloccati da grate in ferro per evitare intrusioni.
Una porta a caditoia (cataracta) ed una lignea a doppio battente completavano il complesso.
Attraversato il varco, sulla sinistra rimane ancora in opera una delle due scale che permettevano l'accesso al cammino di ronda per sorvegliare l'ingresso al centro e ai livelli superiori della porta, dove erano collocate la camera di manovra per la cataracta e probabilmente l'alloggio delle guardie; sulla destra una tra le tante fontane dislocate nei punti di maggior passaggio della città romana.
Questa fontana, che per la sua posizione poteva offrire refrigerio a chi era appena arrivato in città, è realizzata con blocchi quadrangolari in arenaria ed aveva il fondo in cocciopesto (una malta idraulica resistente ed impermeabile realizzata con calce sabbia e fine tritume di ceramica).

Alcuni blocchi della struttura superiore della porta, recuperati durante gli scavi, integrati e rimessi in opera a breve distanza dalla porta stessa, inglobano quanto resta di un'iscrizione (REF = refecit ) che attesta il restauro della porta, del muro di cinta ed altri lavori di manutenzione risalenti al I sec. d.C.. BOX 2 (10, 11).

Le Plateiai A e B

Le due plateiai A e B sono fiancheggiate dalle strutture più imponenti del Parco Archeologico.
La strada principale di Thurii-Copia, la grande plateia A, appare maestosa nelle sue dimensioni: misura circa 13 metri da un lato all'altro della carreggiata, per una lunghezza visibile di 386 metri.

La strada parte dalla Porta Nord e si interrompe a sud, ostruita da un edificio termale costruito nel I sec. d.C..
L'impaludamento dell'area a Sud della città, rese infatti impraticabile questo settore, determinando un restringimento dello spazio urbano di Copia e degli spazi riservati alle strutture pubbliche di età romana.

La plateia A, presenta per tutta la sua lunghezza un cordolo centrale e una leggera insellatura a dorso d'asino per convogliare l'acqua piovana ai suoi lati; questi presentano dei passaggi in blocchi ad intervalli regolari che ne permettevano il superamento per accedere agli edifici che costeggiavano la strada stessa.
Proprio all'incrocio tra la plateia A orientata Nord-Sud, e quella B orientata Est-Ovest, sono visibili rocchi di colonne e blocchi accostati, usati anche in epoca tarda per permettere lo scavalcamento dei canali .

Il selciato stradale era realizzato con grossi basoli irregolari di pietre durissime resistenti all'usura dell'intenso traffico che doveva svolgersi nella città. In più punti sono visibili solchi lasciati dalle ruote dei carri che percorrevano la strada.
La plateia A, grazie ai recenti scavi che hanno individuato con precisione le altre strade, è identificabile nella descrizione che fa Diodoro Siculo dell'urbanistica di Thurii e dell' impianto ippodameo , come la plateia chiamata Olympias .

Osservando gli edifici posti all'incrocio tra le plateiai A e B si percepiste il forte impulso alle ristrutturazioni edilizie che si ebbe in epoca 'augustea' e nei primi decenni del I sec. d.C.. A questo periodo risalgono il rifacimento dell'emiciclo-teatro, la costruzione del tempio, l'impianto di grandi fontane, la ristrutturazione del muro di cinta e la costruzione dell'edificio termale.

L'incrocio tra le plateiai A e B è infatti è invaso dalla costruzione del basamento del tempio e da una scala laterale di acceso; alle spalle del tempio è inoltre visibile il grande scasso circolare per l'impianto di una fontana del diametro di circa cinque metri. Anche la plateia B (Thurina o Heroa), larga circa la metà della plateia A (6,5 metri), fu ristretta in prossimità dell'incrocio, dalla costruzione del basamento del tempio e dell'edificio scenico del teatro che occuperà buona parte della sua carreggiata originaria.

La Domus

Gli edifici abitativi di Parco del Cavallo presentano la planimetria tipica delle case romane, con cortile quadrangolare sul quale si affacciano i diversi vani, alcuni avevano pareti affrescate e pavimenti a mosaico. Una grande residenza privata, una domus, del I sec. a.C., è stata messa in luce nell'area immediatamente alle spalle del teatro-emiciclo di costruzione più recente. La domus fu abitata con continui rifacimenti fino al V sec. d.C.

Questa grande residenza occupava inizialmente quasi per intero la superficie di un isolato del vecchio reticolo urbano di Thurii che continua ad essere usato in età romana; la domus venne ridimensionata attorno al 50 a.C. per far posto alla costruzione dell'emiciclo-teatro.

Così come nelle altre grandi residenze di epoca romana, l'architettura della domus di Copia ruotava attorno ad un grande peristilio centrale (cortile colonnato nel quale è stato portato in luce un pozzo), da cui si accedeva agli ambienti di rappresentanza principali: il tablinum , il triclinio invernale a Sud e il triclinio estivo a Nord (questa disposizione garantiva sempre il massimo comfort termico ed un ottimale irraggiamento solare degli ambienti).

Il tablinum era la stanza ricevimento e soggiorno pavimentata con marmi policromi a motivi geometrici, mentre il triclinium era la stanza dove si banchettava, il suo nome deriva dai tre letti (klinai) disposti a ferro di cavallo con la mensa al centro. I grandi vani dei triclini, oltre ad essere pavimentati a mosaico, avevano le pareti affrescate: è possibile osservare i numerosi strati di spesso intonaco colorato sovrapposti nei diversi secoli di vita della villa, per adeguare la decorazione ai gusti dei nuovi proprietari e agli stili del momento.
Le decorazioni rimaste in opera sono a pannelli geometrici (quadrati, rettangoli, losanghe e cerchi) policromi: rossi, verdi, turchesi, gialli, ma non dovevano mancare anche decorazioni figurative di cui rimane qualche traccia.
Al centro del triclinio invernale, un grande mosaico (databile al I sec. d.C.) con cordoni a tesserine bianche, bordature nere e losanghe in tessere nere, faceva da contorno ad una specchiatura centrale, asportata in epoca antica.

Questa lacuna ha permesso agli archeologi di approfondire i livelli di scavo arrivando a scoprire, a meno di un metro sotto il pavimento romano, alcuni tratti murari in ciottoli di fiume a secco relativi ai vani di un abitazione della città di Thurii.
La struttura è databile al IV sec. a.C..
Nello stesso saggio ad un livello di poco più profondo è stato individuato un pozzo in cilindri di terracotta sovrapposti, dal quale sono stati recuperati molti frammenti ceramici risalenti alla fase arcaica di Sibari (VI sec. a.C.).

Sul lato della casa che affaccia sulla plateia A, sono venuti in luce alcuni ambienti di servizio: in uno di essi è presente un grosso dolio sezionato che copre un pozzo ad anelli di terracotta, dal quale si poteva attingere acqua dalla falda sottostante.
In un altro vano è visibile parte di una macina a campana usata per macinare granaglie.

L'Emiciclo - Teatro

L'emiciclo-teatro di Parco del Cavallo rappresenta il principale edificio pubblico messo in luce nonché una delle strutture meglio conservate del parco archeologico.

La fase più antica risale alla metà del I sec. a.C. ed è relativa ad un edificio a pianta semicircolare. Non è ben chiara la funzione di questo primo edificio, il cui assetto originario ha subìto notevoli modifiche con i rifacimenti successivi: è probabile si trattasse di un luogo per riunioni o di mercato.

Questo emiciclo porticato con grosse colonne a fusto liscio con capitelli a foglie, alcune delle quali sono state rimesse in opera, era preceduto da un altro portico rettilineo colonnato sul lato Sud - le colonne in crollo sono di dimensioni più piccole ed hanno il fusto scanalato.
La copertura dell'intera struttura era realizzata con tegole e coppi prodotti verosimilmente in loco da tal Lucio Vinuleio Brocco, come attestato dai bolli di fabbrica impressi.

Dopo circa un secolo, verso la metà del I d.C., l'edificio viene profondamente trasformato e riadattato come teatro, il muro curvilineo viene rialzato, massicci contrafforti in laterizi vengono disposti ad intervalli regolari lungo la curvatura esterna a reggere la spinta del terrapieno che internamente ricopre completamente il precedente colonnato e sul quale vengono costruiti i gradini della cavea per ospitare gli spettatori.

L'orchestra del teatro viene pavimentata con marmi policromi e spallette di marmo separano questo spazio dalle gradinate della cavea; allo spazio dell'orchestra ed al proscenio si accedeva da scale laterali in calcare.
Un edificio scenico con pareti absidate per contenere gli apparati armonici ed un post scenae completavano la struttura, che proprio con l'edificio scenico invade parte della carreggiata della plateia B.

Il teatro era abbellito da fregi e statue recuperate dagli scavi ed esposte nella sezione statuaria della sala romana del museo.

Osservando i muri è possibile rendersi conto dei numerosi restauri cui è stata sottoposta la struttura: sono facilmente individuabili anche i grossi blocchi in calcare chiaro, quasi bianco, reimpiegati da edifici pubblici di Thurii e di Sibari.
Alcuni di questi blocchi appartenenti al fregio figurato (scolpito a bassorilievo) di un tempio arcaico sono stati rimossi e sono esposti nella sala arcaica del museo (in loco rimangono delle copie).

La costruzione dell'emiciclo prima e del teatro poi, denota che tra la metà del I sec. a.C. e il I sec. d.C. vi fu nella città di Copia un notevole fervore edilizio nella realizzazione di opere pubbliche.
Dinanzi al teatro viene sistemata una piazza, il " foro ", a sviluppo rettangolare con il lato opposto alla strada delimitato da un massiccio portico in mattoni ; sul limite stradale della piazza vengono costruite due grandi fontane a pianta circolare; un'altra grande fontana circolare (ne resta l'alloggiamento sul selciato stradale) è costruita a breve distanza alle spalle del teatro, sulla grande plateia A.

Recenti scavi permettono di affermare che l'incrocio tra le plateiai A e B fosse già un punto importante della vita cittadina di Thurii: la piazza romana si sarebbe sovrapposta ad uno spazio pubblico preesistente, un' agorà .

Il foro - Agorà

L'organizzazione urbana della città di Thurii rimane ancora per la maggior parte sconosciuta: nulla o quasi si sa infatti della disposizione degli edifici e degli spazi pubblici della città.

E' certo però che la sovrapposizione della città di Copia per molti aspetti ricalcò l'impianto turino.
Tra le tante lacune ancora da colmare circa l'assetto urbano della città di Thurii Copia, i saggi di scavo degli ultimi anni hanno permesso di identificare un'area a destinazione pubblica risalente al periodo ellenistico, forse una delle agorà della città greca.

L'area pubblica, probabilmente già prevista in fase di pianificazione dall' impianto ippodameo di Thurii, verrà risistemata in epoca romana, trasformata nel Foro di Copia e abbellita con due grandi fontane a pianta circolare collocate all'estremità Nord della piazza a ridosso della plateia B.

Il Foro è oggi visibile come un ampio slargo di forma rettangolare, libero da strutture, di fronte al teatro e prospiciente la plateia "B".
Le arcate di un portico in mattoni, che delimitavano la piazza sono visibili in crollo tra l'edificio termale e lo slargo con le fontane, movimentando la coreografia urbanistica di questa importante area, fulcro della vita cittadina romana.

Le Terme

Nel I sec. d.C., il rifiorire di edilizia pubblica che interessa la città di Copia, vede la costruzione di un edificio termale in una zona vitale della città, dove erano già presenti il teatro e il foro.
Le terme sono visibili alla fine della plateia A e a questa risultano sovrapposte, in pratica la chiudono all'altezza dell'incrocio con la plateia B.
E' probabile che all'epoca della loro costruzione, la zona più a Sud della città, verso la quale proseguiva la grande strada, fosse stata già abbandonata a causa dell'impaludamento dovuto forse ad una deviazione naturale del Crati.

L'edificio termale si apre sul lato Nord con una serie di grandi ambienti comunicanti, pavimentati in opus spicatum, in gran parte ancora perfettamente conservato , dai quali si accede agli ambienti termali veri e propri.

Di questi ultimi sono ben riconoscibili quelli riscaldati, tepidarium e calidarium , per la presenza ancora in situ sia delle suspensurae (pilastrini per la sospensione del pavimento) che delle concamerazioni parietali in tubuli di terracotta che costituivano il sistema di circolazione dell'aria calda prodotta nei praefurnia .

Un vano absidato del calidarium ospitava la vasca di acqua calda, mentre nell'ambiente del frigidarium , la natatio (piscina d'acqua fredda) si presenta come un grande vano con scaloni di accesso all'interno della vasca.

Gli ambienti termali erano pavimentati a mosaico con tessere bianche e nere a formare motivi geometrici (a losanghe e quadrati), riquadri e specchiature con il simbolo schematizzato del sole (la svastica), raffigurazioni naturalistiche, grifoni, delfini ecc..

I mosaici oggi pur presentando lacune e integrazioni prodotte da rifacimenti e modifiche degli ambienti interni nel corso delle epoche, denotano la ricchezza decorativa degli ambienti pubblici di età romana.
Le ultime fasi di vita dell'edificio risalgono, secondo i risultati dei recenti scavi, alla fine del VII sec. d.C., quando ormai l'edificio aveva perso la sua primitiva funzione e veniva utilizzato come luogo di culto cristiano.
All'esterno dell'edificio sul fronte Sud, con murature in opus reticulatum , e laterizi sono stati evidenziati i crolli di un portico sorretto da grosse colonne con capitelli corinzi.

Il Tempietto

Gli scavi archeologici nei vari settori del parco non hanno ancora permesso di individuare le aree sacre di Thurii-Copia; nemmeno dalle poche fonti storiche sulla città romana è stato possibile ricavare indicazioni utili alla loro localizzazione.
Dal punto di vista architettonico, l'unica struttura individuata nell'area di Parco del Cavallo che può essere interpretata come un probabile luogo di culto di Copia è un edificio rettangolare a pianta tripartita - un tempietto - con una delle pareti di fondo absidate, posto all'incrocio tra le plateiai A e B e confinante con il lato Nord-Ovest dell'emiciclo-teatro.
L'edificio risale al I secolo d.C. ed è costruito su un podio in opus reticulatum (1) sopraelevato di oltre un metro rispetto al piano strada delle due plateiai.

La sua funzione doveva comunque essere importante, visto che la costruzione invade metà della carreggiata della plateia A.
Un accesso con una scala ampia e comoda è visibile nell'angolo Nord-Est, in corrispondenza della parte posteriore della struttura; all'edificio si poteva accedere anche da una stretta scaletta a rampe contrapposte posta sul fronte Ovest del podio che affaccia sulla plateia A.

Un interessante reperto recuperato durante gli scavi del 1991 in una taberna nelle vicinanze del tempio, costituisce a tutt'oggi la più antica testimonianza epigrafica in lingua latina - risalente al II sec. a.C. - proveniente dal sito di Thurii-Copia. Si tratta di una laminetta bronzea sulla quale sono ricordate in ordine d'importanza quattro divinità del pantheon romano: Giove, Apollo, Minerva ed Hercules.

Testi tratti da archeocalabria.beniculturali.it
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